Giorgio Maria Nicolai è stato allievo del corso di Sceneggiatura della Scuola Volonté nel triennio formativo 2016/19. Nel 2024 esce il suo primo libro, dal titolo “Divorzio all’italiana. Regia di Pietro Germi. Analisi della sceneggiatura di Ennio De Concini, Pietro Germi, Alfredo Giannetti”, edito da Dino Audino e scritto insieme a Francesca Cantore e Giovanna Guidoni. Il film fu un grande successo all’epoca della sua uscita, nel 1961. Si aggiudicò il Prix de la meilleure comédie al Festival di Cannes del 1962 e vinse l’Oscar alla migliore sceneggiatura originale, oltre che due premi Golden Globe nel 1963. In questo libro, per la prima volta, la sceneggiatura di “Divorzio all’italiana” viene analizzata nella sua struttura drammaturgica. Attraverso una disamina dettagliata, viene dato conto di come la scrittura delle scene, nella loro consequenzialità, abbia saputo coniugare l’attualità della cronaca con un tema di portata universale. Da una parte, la denuncia dell’articolo 587 del codice penale, il delitto d’onore, segno di un paese – l’Italia – ancora vittima di una mentalità retrograda; dall’altra, l’amaro palesarsi di un limite che attraversa tutti i personaggi, condannandoli all’infelicità.
Abbiamo posto alcune domande all’autore, per approfondire i temi trattati nel libro.
L’analisi portata avanti dal vostro libro vuole essere una riflessione su quanto l’amore incondizionato e per sempre sia un’utopia?
Siamo partiti con l’idea di analizzare la struttura narrativa del film, concentrandoci quindi sugli aspetti più “tecnici” della scrittura. Andando avanti nell’analisi, però, ci siamo resi conto di come il tema dell’utopia dell’amore incondizionato fosse un’asse portante della drammaturgia di “Divorzio all’italiana” e di quanto questo tema segnasse ogni scelta narrativa degli autori e del regista del film. Alla fine, la scoperta di questo tema alla base del film è stata la chiave di lettura di tutta l’analisi: d’altronde, “Divorzio all’italiana” è una satira di costume per certi aspetti, per altri una riflessione molto ampia sull’amore e su come lo viviamo all’interno della società.
Il film fu una sorta di atto d’accusa all’art. 587 del codice penale, di un’Italia retrograda e maschilista che Pietro Germi ha trattato con libertà e violenza di stile. Da un lato, una legge che depenalizzava il delitto d’onore e che verrà abolita solo nel 1981; dall’altro, un ritardo legislativo che sarà colmato solo nel 1975 con il nuovo diritto di famiglia. A distanza di tanti anni, credi ci sia ancora bisogno di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione femminile?
Il film fu a tutti gli effetti un atto d’accusa. Infatti, inizialmente si chiamava “Capriccio all’italiana”, proprio per evitare di mettere la parola “divorzio” nel titolo, che avrebbe suscitato non poche polemiche. Detto questo, la modernità di “Divorzio all’italiana” risiede proprio nella capacità di andare oltre il momento storico in cui il film è uscito, e sicuramente è un film molto moderno nel modo in cui sensibilizza sulla condizione femminile attraverso un personaggio decisamente innovativo per l’epoca, ovvero Rosalia, la moglie di Fefè: lei, molto più del marito, rifiuta il proprio destino ed è disposta a scappare pur di raggiungere l’amore incondizionato. Sicuramente c’è bisogno ancora di sensibilizzare su questi temi, e il successo del recente film di Paola Cortellesi ne è un esempio lampante. Non solo, quindi, 2Divorzio all’italiana” non è invecchiato, ma è la prova di come alcune tematiche riescano a essere attuali nonostante siano passati più di sessant’anni dall’uscita del film.
Questo film contribuì alla nascita della “commedia all’italiana”. Secondo te perchè il film piacque molto anche all’estero e ricevette diversi premi prestigiosi, benché le tematiche fossero profondamente italiane?
Il film fu un grande successo in Italia e fuori dall’Italia, appunto dando il via a un intero filone di film che ne hanno seguito le orme. Io credo che il successo all’estero e soprattutto in America possa essere dovuto al fatto che “Divorzio all’italiana” è un film che ha qualcosa in comune con le grandi commedie americane degli anni 50’ e 60’, che mettevano insieme una satira della società a storie sentimentali (non ha lo stesso black humor di “Divorzio all’italiana”, ma mi viene in mente “L’appartamento” di Billy Wilder). Ecco, è come se “Divorzio all’italiana” fosse riuscito a italianizzare quella commedia americana, rivitalizzandola con elementi locali (la legge sul delitto d’onore nel nostro caso).
Analizzando la sceneggiatura del film è emerso qualcosa che non ti aspettavi?
Il personaggio di Rosalia, a una prima visione del film, sembra essere assolutamente secondario, quasi di servizio ai fini della narrazione. Analizzando però nel dettaglio, è stato sorprendente scoprire come in realtà Rosalia compia un arco molto più complesso e sfaccettato di quello di Fefè. Un altro elemento che è uscito fuori nell’analisi è stato lo studio della voce narrante: il film ne fa un uso talmente moderno che ricorda tecniche utilizzate da serie tv di ultimissima generazione (come “Fleabag”) mischiando una voce al passato e una al presente, dando davvero una nuova interpretazione di questa tecnica.
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea del libro è nata grazie ad Andrea Minuz, curatore della collana, che mi propose di analizzare la sceneggiatura di un film. A me venne in mente “Divorzio all’italiana” proprio per la sua specificità – uno dei pochi film non americani a vincere l’Oscar per la sceneggiatura. L’idea piacque molto anche perché potevamo fare riferimento a Francesca Cantore, una delle massime esperte di “Divorzio all’italiana”, per la parte storica, e a quel punto si formò il gruppo di scrittura con cui ho lavorato per il libro.
E come ci si trova ad analizzare una sceneggiatura premiata e riconosciuta a questi livelli?
Analizzare una sceneggiatura come questa è un’esperienza formativa, perché ogni volta che si vede il film si impara qualcosa di diverso e si nota un dettaglio in più che in precedenza era sfuggito. Mi ha dato la possibilità di andare veramente a fondo nelle strutture narrative e di capire dinamiche e movimenti in maniera dettagliata. Io sono un ex studente della Volonté, quindi è stato anche bello poter analizzare la sceneggiatura utilizzando gli strumenti e le nozioni che avevo imparato durante la scuola, vederne l’applicazione pratica, mentre analizzavo scena per scena il film. Ovviamente analizzare un capolavoro come questo ha degli ostacoli, quindi la difficoltà maggiore è stata cercare di non perdersi nell’analisi, e in questo ha aiutato molto identificare un tema portante, quello dell’amore incondizionato di cui si parlava sopra.